C’è una newsletter che leggo sempre subito, appena l’app di Substack me ne notifica l’uscita: si intitola Le Ragazze stanno bene, la scrive la giornalista Nicoletta Labarile, e parla di femminismi o, per citare l’autrice stessa, «la newsletter sui femminismi no budget che sorseggi in hangover il Sabato mattina». Ciò che apprezzo di più è la capacità di Labarile di unire il personale al collettivo politico: sensazioni ed emozioni trovano posto insieme all’informazione e alla divulgazione.
In particolare, c’è una rubrica che non perde quasi mai modo di farmi venire gli occhi lucidi: si intitola Nominare è fare esistere, uno spazio in cui viene raccontata la storia di una donna che con il suo pensiero e il suo lavoro ha dato un contributo alla storia e alle arti del proprio ingrato paese, Italia o altra terra che sia. Questa rubrica, in combo con la settimana del Salone del Mobile di Milano, mi hanno dato l’ispirazione per il numero di questo mese.
Bruna Mateldi Moretti, tra illustrazione, moda e pubblicità
Sulla quarta di copertina del libro Le figure per dirlo. Storia delle illustratrici italiane di Paola Pallottino è riportata una frase contenuta, e contestualizzata, all’interno del libro stesso:
Come altre storie, anche quella dell’illustrazione femminile è la storia di una cancellazione.
Una storia, insomma, per cui sono perfettamente in grado di ricordare tutto ciò che ha fatto Sergio Tofano, ma di non richiamare alla mente nessun’altra illustratrice, a parte Grazia Nidasio. Figurarsi poi ad arrivare a Bruna Mateldi Moretti, in arte Brunetta.
Nata a Ivrea nel 1904, porta avanti gli studi artistici tra Bologna e Torino, per poi arrivare a Milano a metà degli anni Venti. Qui conosce Filiberto Mateldi, pittore e illustratore, attivo nel teatro futurista e nell’illustrazione editoriale: Mateldi riconoscerà il grande talento di Moretti, dando vita a un sodalizio artistico che manterranno fino alla morte di lui. Si sposano nel 1930.
La metà degli anni Venti è il momento in cui Moretti inizia la sua lunga e fortunata carriera, disegnando figure femminili affusolate e filiformi, esattamente il contrario della “carne” che il regime fascista voleva vedere e voleva imporre: la donna materna, la donna florida e feconda il cui unico scopo è alimentare il sistema facendo figli e accudendoli tutti. Le donne magre e alla moda mostravano la possibilità di una femminilità differente, ma a nulla valsero i numerosi tentativi di richiamare Moretti all’ordine.
Le sue illustrazioni appaiono su moltissimi quotidiani e periodici: La Domenica del Corriere, Il Corriere dei Piccoli, Il Balilla, L’Illustrazione del Popolo, La Lettura, Il Corriere dell’Informazione, Il Dramma, La Scena illustrata; e poi, i rotocalchi femminili che, nonostante tutto, nascono e proliferano: Grazia, La Donna, Amica, Bellezza, Novità.
Nel 1930 Davide Campari la chiama per una collaborazione: nasce così la serie di caricature Nel Regno di Celluloide, raffiguranti attori e attrici dell’epoca intendi a bere o servire un bicchiere di bitter. Questi lavori sono oggi conservati e visibili presso la Galleria Campari di Sesto San Giovanni, che consiglio a tuttə, appassionatə di grafica pubblicitaria e non.
Moretti arriverà anche a prendere in carico le commissioni del marito, sempre più debilitato da una malattia che lo porterà alla morte nel 1942.
Il Dopoguerra proietta Moretti verso l’Europa e l’America: è ammirata da chi la moda la fa, in prima persona, e di chi di moda parla. Diana Vreeland, iconica direttrice di Harper’s Bazaar, la invita a New York. Più tardi, nel 1977, Pierre Cardin organizzerà una mostra dedicata a lei nel suo espace parigino.
Nel 1956 arriverà Camilla Cederna con la rubrica settimanale Il lato debole, tenuta per L’Espresso. Cederna scrive e Moretti illustra: andranno avanti per vent’anni.
Tra fine degli Cinquanta e gli anni Ottanta, Bruna Moretti verrà insignita di vari premi: dalla Giarrettiera pubblicitaria conferitole dall’AIAP, alla nomina nel 1962 tra le Eighteen of the World’s most Powerful Women del Sunday Mirror, passando per il Montenapoleone d’Oro nel 1968, il Premio Illustrazione del settimanale Epoca e il Premio giornalistico intitolato a Irene Brin (con cui strinse un altro grande sodalizio professionale) nel 1969, infine l’Ambrogino d’Oro della città di Milano nel 1980.
Amava i suoi gatti, diceva di essersi “felinizzata” perché da loro aveva imparato una nuova sensibilità nel percepire la realtà che la circondava. E questa sensibilità, unita alla grande fantasia e a un tendere continuo verso ogni nuovo stimolo, si è riflesso nella sua arte. Cercando maggiori informazioni sulla sua vita e i suoi lavori, ho trovato spesso il suo stile descritto come rapido, essenziale, leggero, ironico: caratteristiche di chi è curioso e al passo con l’innovazione, aggiungo io. Così come nel fumetto, la sintesi è fondamentale, pochi segni per arrivare al dunque e restituire un mood.
Bruna Mateldi Moretti morirà a Milano nel 1989; nonostante sia sepolta nel Famedio del Cimitero Monumentale, non c’è alcuna traccia di lei nella contemporaneità.
E per tornare agli occhi ludici, mi ha molto colpito una definizione che diede di se stessa:
«Le mie mani, la mia mente, non sono mai state inattive. Ho molto letto, studiato, guardato, ascoltato. Io sono fatta di poesia e pazienza».
Per chi volesse approfondire, consiglio il libro L’ironia è di moda. Brunetta Mateldi Moretti, artista eclettica dell’eleganza di Paola Biribanti, pubblicato da Carocci.
Non solo fumetto, per fortuna
Aprile è cominciato con Whiskey, Tango, Foxtrot di Glenn Ficarra e John Requa, un film del 2016 con protagonista Tina Fey (e molta altra gente inaspettata nel cast) il cui titolo mi era rimasto in mente più o meno da quando era uscito, non so dire bene perché. È disponibile su Netflix e l’ho guardato con la mia cara amica il giorno di Pasquetta.
Su Disney+ ho visto poi La mosca di David Cronenberg: non ho alcuna passione per questo regista (di cui ho anche visto diverse cose), questo film in particolare mi era già stato consigliato diversi anni fa da un’amica (che, per convincermi, si appellò alla presenza di un giovane Jeff Goldblum come protagonista). Come sono arrivata a vederlo? Be’, il racconto di George Langelaan da cui è tratto viene citato da Emmanuel Carrère in Yoga, una delle mie letture del mese scorso. Lì mi son detta: è arrivato il momento.
Su Prime Video ho visto American Fiction di Cord Jefferson, vincitore dell’Oscar alla migliore sceneggiatura non originale. So che su questo film ci sono state recensioni un po’ critiche, devo dire che a me ha abbastanza divertito.
Su MUBI ho recuperato How to have sex, un coming of age scritto e diretto da Molly Manning Walker, vincitore del premio Un Certain Regard del festival del cinema di Cannes.
Il mio lavoro, poi, mi ha messo davanti a un remake pubblicitario di un film che non avevo mai visto, ovvero Un uomo, una donna di Claude Lelouche. Non essendo disponibile su nessuna delle piattaforme di streaming a cui sono abbonata, ho preso in prestito il DVD in biblioteca.
Inoltre, ho deciso di provare a colmare una lacuna televisiva e ho iniziato la visione dei Soprano. Qui si andrà lunghi.
Finito il noioso Carrère, ho finalmente iniziato un libro di cui stavo aspettando l’uscita: Tangerinn di Emanuela Anechoum, pubblicato da Edizioni E/O. Confido in questi giorni di ponte e chiusura aziendale per leggere un bel po’.
Plutocratiche segnalazioni
La verità è che io, le rassegne di link, non sono capace di gestirle: parto bene, poi finisco per inserire tutto quello che mi capita davanti, mandando a quel paese la selezione mirata.
Volevo però ringraziare la newsletter Ghinea, che nel numero di Marzo ha segnalato la mia intervista a Sara Fabbri e al Collettivo Moleste. Potete leggere il numero qui.
Il titolo di questo numero è stato preso in prestito dalla definizione che Bruna Mateldi Moretti fece di se stessa.
Grazie per questo racconto di Bruna Mateldi Moretti, che non conoscevo (e grazie a Cristina Portolano che mi ha fatto conoscere la tua newsletter, Lavinia).
Grazie per averci fatto conoscere Brunetta Mateldi Moretti! <3