Marzo è uno dei miei mesi preferiti, forse perché è anche il mese del mio compleanno, forse perché è un mese che non mi delude mai.
Sono nata l’8 Marzo: è impegnativo essere una donna, riconoscersi nel genere, portarlo nel (cogno)nome, e nascere in questa data. Ogni anno di più, ai conti personali dovuti agli anni che passano si aggiungono anche quelli collettivi: e così si crea la scissione tra il sentire politico di quella giornata e il privilegio personale di poter vivere in una grande città occidentale, con un buon lavoro da cui prender ferie per passare il tempo a dedicarsi a se stesse, tra un massaggio e un mazzetto di mimosa.
E, a proposito di collettività, la partecipazione a Book Pride di alcune componenti del collettivo Moleste mi ha fugato ogni dubbio di chi e di cosa scrivere a Marzo: di fumettiste che lottano.
Il collettivo Moleste e i femminismi disegnati
Il COVID19 ha fatto anche cose buone: per esempio, dare la stura a qualche progetto grazie all’inaspettata quantità di tempo libero che sembravamo avere: uno di questi è Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto. Siamo a fine 2020 e le testimonianze raccolte, in un momento di crisi lavorativa per moltə artistə del settore e non, scuotono prepotentemente il piccolo ambiente del fumetto italiano: per qualche giorno sarà tutto un prendere posizione a destra e a sinistra, da parte di fumettisti, editori, organizzatori e scuole del fumetto.
Nel 2022, il collettivo pubblicherà con Il Castoro un’antologia di racconti a fumetti intitolata Fai rumore. Nove storie per osare: ogni storia racconta un abuso, fisico e psicologico, con la leggerezza e la semplicità che serve per affrontare queste tematiche con bambinə e adolescenti.
Nello stesso anno, il collettivo porterà in anteprima al Cartoomics di Milano il numero zero di una zine: si intitola Smack!, e arriva nel mondo il 25 Novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Il numero zero non resta un unicum: a fine 2023 l’annuncio ufficiale del numero uno, realizzato in collaborazione con l’editore Eris.
In occasione di Book Pride, ho incontrato Sara Fabbri, tra le fondatrici del collettivo, nonché Art Director di Linus, fumettista e illustratrice, a cui ho fatto qualche domanda per raccontare la realtà del collettivo e il progetto della zine. Mettetevi comodə perché andiamo un po’ lunghe.
Prima di parlare del presente, mi soffermo un attimo sull’atto di nascita: il collettivo esordisce con le testimonianze di molte donne e ragazze* che denunciano situazioni di molestia all’interno dell’intero ambito: sono ex-studentesse di scuole di fumetto, sono professioniste già avviate. Guardando a oggi, ti sembra che qualcosa sia leggermente migliorato?
Tanto per cominciare, si è cominciato a parlarne tantissimo, e questo è già un cambiamento epocale: ci sono state molte prese di coscienza nell’ambiente, da parte di tutti, una cosa che ci ha caricate molto perché non è più un argomento che viene taciuto o, peggio, di cui tuttə sanno, ma nessunə ne parla. Adesso si sa e se ne parla e, spiace dirlo, ma della grande ondata di segnalazioni arrivate alla nascita di Moleste, tutte sapevamo a cosa ci stavamo riferendo.
Il fatto di parlarne ha sicuramente cominciato a mitigare determinati atteggiamenti, magari quelli basici e più “goliardici”, definiamoli così: la quantità di testimonianze che ci arriva è diminuita, ma ci arrivano ancora, anche perché il collettivo è stato preso come riferimento. Le cose, però, non si sono fermate, e stiamo cominciando a lavorare in maniera un po’ più strutturata nelle scuole di fumetto. Il problema nasce dal nostro circolo di professionisti, ma non finisce lì, quindi Moleste lavora su un doppio binario che da una parte è protezione, da una parte è evidenziare il problema, e dall’altra parte cercare anche di fare tutto il possibile per disinnescarlo e parlarne è uno dei modi. C’è ancora tantissimo da fare, perché ovviamente questa piccola ondata all’interno del settore non è che sia bastata, ma la presa di coscienza e la discussione sono un risultato super positivo tanto che stavamo proprio discutendo di fare una cosa del tipo “che cosa ha portato Moleste”: vorremmo raccogliere nuove testimonianze, questa volta in positivo, per far vedere come, piano piano, a macchia d’olio, si stiano diffondendo tante piccole buone pratiche.
*Il 98,9% delle testimonianze riportate è stata fatta da una donna.
Probabilmente siete uno pochi collettivi che prima ha pubblicato un libro per un editore, poi una zine: è perché la zine è qualcosa che viene dal basso, rispetto a un libro che si inserisce sia in un contesto editoriale ben specifico dovuto alla “visione” di un editore, sia all’interno di una “cultura normata”, passami la definizione? Mi interessa questo punto.
Innanzitutto, siamo tutte professioniste, quindi abbiamo tutte un contatto con l’ambiente che magari potrebbe mancare a chi ha appena iniziato. L’autoproduzione è chiaramente una delle nostre passioni e ci vogliamo inserire all’interno di una tradizione politica che ci piace molto, riot. L’autoproduzione, però, ci avrebbe impedito di raggiungere una distribuzione molto più ampia: ciò che continuiamo a ripetere, in tutte le salse, è di uscire dalla bolla, dai circuiti che vengono proposti e riproposti, e l’unico modo per farlo è riuscire a diffonderci dove non si può arrivare. Abbiamo scelto un editore che fosse molto affine alla nostra “crociata”: anche l’editore è una scelta politica, anche con chi essere distribuitə è una scelta politica, ma soprattutto volevamo innestare un circolo virtuoso: Eris si è legato a dieci librerie che hanno cominciato a distribuirci. Inoltre, proprio grazie a queste librerie, a Eris e alla nostra collaborazione, siamo anche riuscite a mantenere un prezzo politico. Chiaramente, non è una zine che porterà un introito, né alle librerie, né all’editore, né a Moleste, però volevamo pagare almeno le persone che avevano collaborato: il lavoro di Moleste è tutto volontario, ma non sarebbe stato giusto chiedere di essere deə volontarə, anche se stiamo parlando di fatto di oboli. Questo ci permette anche di tenere tutto legato al senso che stiamo cercando di dare, compreso inserirsi in un discorso che non abbia in alcun modo a che fare con dinamiche di sfruttamento. Abbiamo potuto farlo anche grazie all’esperienza che abbiamo nel settore: non è detto che un collettivo di ragazze appena uscite dalle scuole avrebbe potuto riuscire ad approcciarsi a un ambiente con comprensione dell’ambiente stesso.
In tutto questo, Eris quando si inserisce? L’avete cercato voi?
Come accennavo prima, volevamo un editore proprio per il discorso di massimizzare la resa: Eris è stato uno dei primi a cui abbiamo pensato, anche se è arrivato a lavorazione già iniziata. Ci ha appoggiate in pieno, ma Smack! sarebbe uscita con o senza Eris, perché ci stavamo già lavorando: chiaramente molto meglio che sia uscita con!
Il numero zero della zine è già un numero corale, ma ha proprio tutta l’aria di una sperimentazione, mentre il numero uno si presenta con un argomento: com’è stato fare in modo che questo numero non fosse la copia del precedente (e così per il futuro)?
La realtà laboratoriale l’abbiamo fortemente voluta per il numero zero proprio perché dovevamo capire innanzitutto qual erano le nostre risorse interne, poi quale sarebbe stata la nostra capacità di coinvolgere, ma anche di uscire fuori. Abbiamo fatto una open call, abbiamo lavorato per vedere se le nostre forze erano bastevoli, non era detto che avremmo prodotto qualcosa di interessante: era una sfida che è stata accolta benissimo!
Il numero zero ci ha portato anche un sacco di discussione interna e quando è arrivato il momento di fare il prossimo, il numero tematico si è un po’ imposto: le cose di cui volevamo parlare erano così tante che abbiamo dovuto in qualche modo cominciare da qualche parte.In questo caso, volevamo parlare di corpo e corporeità, ma cercando di essere molto inclusive e trasversali. L’intuizione del pelo è stata fondamentale: è una cosa che attraversa i generi, attraversa la razzializzazione, attraversa l’ageismo, attraversa le specie; inoltre, in questo momento pelo e capello sono un tema politico molto forte. Abbiamo cercato di comprimere tutto, ma soprattutto di coinvolgere tuttə, di trovare un elemento che potesse essere riconoscibile da chiunque, al di là del proprio genere, che fosse una persona in transizione, che avesse problemi di calvizie o avesse follicoliti per la depilazione. Abbiamo anche cercato di essere meno occidentali chiamando a lavorare una delle fondatrici del collettivo Samandal, Lena Merhej, che a sua volta ha fatto una specie di open call e ha chiesto a conoscenti, amicə, altrə artistə, la loro relazione con il pelo.
Lo ripeterò fino allo sfinimento, ma: la bolla, la bolla, la bolla. Dobbiamo uscirne, vedere cosa c’è fuori. Abbiamo la fortuna di lavorare con una sostanza immaginifica potentissima che sono i fumetti, conosciamo benissimo l’impatto di una narrazione di tipo fumettistico può avere: ha la capacità di avere una grandissima eco nel lettorə stessə.
Come funziona Smack! dal punto di vista grafico e redazionale? Come fate a decidere il tema, ora che la zine ha una sua tematicità?
Anche la grafica è collaborativa, infatti tutto il processo è lunghissimo: le smanettone siamo io e Caterina Ferrante, la copertina è sua e l’Art Direction è mia. Quest’anno, per riuscire a mitigare un po’ l’altissima complessità che si crea, abbiamo discusso tutte insieme come collettivo, ci sono state svariate proposte per il tema, abbiamo impostato i lavori tutte insieme come collettivo, poi ci siamo richiuse in una redazione ristretta che mandasse avanti proprio il lavoro duro e puro. Questa redazione è composta da cinque persone: io, Francesca Torre, Giacomo Guccinelli, Claudia Ianniciello e Caterina Ferrante. Ogni tanto poi ci riapriamo, con delle discussioni corali e collettive, poi ci richiudiamo e mandiamo avanti il lavoro. Lavorare in un collettivo è stupendo, ogni decisione viene orizzontalizzata, ma sappiamo bene che non può funzionare nella realtà dell’editoria, perché impiega tantissimo tempo e forze, con discussioni che possono diventare infinite anche per decidere dove mettere il codice a barre, per esempio.
Il lavoro sulla grafica è stato fortemente voluto sin dal numero zero perché sia io che Caterina siamo delle graphic addicted e, per quanto volessimo entrare nell’autoproduzione riot, volevamo comunque un progetto di qualità: volevamo che la veste grafica fosse accattivante proprio perché i contenuti che proponiamo a volte possono essere respingenti. Abbiamo cercato di parametrarci su qualcosa che fosse bello esteticamente, che fosse piacevole sfogliare, ordinato, con i contenuti ben leggibili, rivendicando il rosa fino alla morte.
E poi c’è il titolo: nel fumetto “smack” è l’onomatopea che identifica sia il bacio che il pugno, ci piaceva proprio. Portiamo rose dentro i nostri cannoni, «’sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma».
C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che vorresti aggiungere?
Mi piacerebbe dire che noi non siamo arrabbiate. Ci piace tanto vivere, ci piace vivere bene, sennò non avremmo fatto una cosa del genere, tutto qua.
Ringrazio moltissimo Sara Fabbri per la bella chiacchierata e il tempo che è riuscita a dedicarmi, tra un incontro e l’altro del Book Pride.
Smack! #1 è acquistabile sul sito di Eris.
Non solo fumetto, per fortuna
L’iperattività di Febbraio si è compensata nella pigrizia di Marzo.
Al cinema non ci sono ancora andata, nonostante la seconda parte di Dune.
Su MUBI ho recuperato Anatomia di una caduta di Justine Triet. Non sono sicura che mi sia piaciuto, non ho nessuna passione, né tanto meno inclinazione per i procedurali, e vederlo proiettato nella finzione a volte mi irrita.
Continuo il recupero della filmografia di Wong Kar-Wai presente su Paramount+, in particolare ho visto Days of being wild e Hong Kong Express.
Son tornata poi ai grandi amori di gioventù guardando Ghostbusters: Legacy, diretto da Jason Reitman e uscito nel 2021, il cui sequel è previsto proprio per il mese prossimo. Mi sono commossa? Certo che mi sono commossa: Egon Spengler, quanto ci manchi!
Su Netflix ho guardato la serie TV di One Day, tratta dall’omonimo libro di David Nicholls e titolo già famoso per la versione cinematografica di Lone Scherfig con Anne Hathaway e Jim Sturgess. Avevo già visto Leo Woodall nella seconda stagione di The White Lotus, mentre Ambika Mod è stata una bella scoperta: non solo attrice, ma anche improvvisatrice e comica.
Ho poi finito definitivamente Succession, dopo qualche mese di fermo visto che la serie era scomparsa da NOW TV.
La pigrizia, complicata da una settimana di poca salute, ha un po’ messo in pausa le letture in corso: sto portando avanti a fatica Yoga di Emmanuel Carrère, approcciato solo per spirito voyeuristico (probabilmente lo stesso con cui Carrère lo ha scritto) in quanto praticante. Su consiglio del mio insegnante di improvvisazione teatrale, poi, ho cominciato da pochissimo Impro. Teoria e tecnica dell’improvvisazione di Keith Johnstone, un classico sul genere e della saggistica teatrale, a detta di tuttə un ottimo compendio teorico. Chissà che nei prossimi mesi non diventi un’improvvisatrice migliore.
Il titolo di questo numero è stato preso in prestito da Rebel Girl del gruppo Bikini Kill (Pussy Whipped, 1992).